201803.20
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Cessione di fatto di azienda: profili probatori

Accade assai di frequente che realtà aziendali in stato di decozione o comunque in situazione di illiquidità escano solo formalmente di scena, continuando, di fatto, ad operare attraverso lo schermo di una nuova società. Si ravvisa in tali casi una particolare ipotesi di cessione di azienda,  non formalizzata né, tanto meno, esteriorizzata poiché rispondente a finalità elusive, volte  esclusivamente a danneggiare il ceto creditorio.

In questo modo, le passività restano collocate presso la vecchia società mentre i nuovi affari vengono dirottati nella nuova, con il risultato di sottrarre ai creditori della prima il patrimonio e la liquidità necessarie ad un recupero del credito efficace. Sicché, al creditore che  abbia esperito azioni e conseguenti iniziative esecutive infruttuose verso la vecchia azienda, non resterà altra strada se non l’accertamento della cessione di fatto dell’azienda, allo scopo di rivalersi sul patrimonio della nuova società.

Detto ciò, a fronte dell’allegazione del trasferimento di fatto di un complesso aziendale, quale deve essere il contenuto della prova? Chiaramente, una siffatta tesi non potrà essere suffragata da formali atti di cessione o altre vicende societarie quali fusioni o incorporazioni, formalità, per definizione, inesistenti in caso di operazione fraudolenta.

Soccorre, in questo senso, l’ampia giurisprudenza, per la quale la fattispecie in parola è ravvisabile in ogni operazione che determini il passaggio dell’organizzazione aziendale ad un diverso soggetto, indipendentemente dal meccanismo giuridico adottato dalle parti e quindi anche in via di mero fatto, dimostrazione che può essere fornita dal terzo con ogni mezzo, anche avvalendosi della prova presuntiva (Così Cass.civ. Sent. n.  2518/84, Cass. Civ. Sent. n. 6071/87).

Al riguardo, sono state ravvisate una serie di circostanze sintomatiche quali, ad esempio, l’analogia o l’identità delle attività esercitate, l’identità dei soci o delle cariche, l’identità dei fornitori o dei lavoratori impiegati, la prosecuzione dell’attività nei medesimi locali ovvero il trasferimento di una parte significativa dei beni aziendali (V. ex plurimis Cass. Civ. , sez. I , Sent. n. 21481/2009).

All’accertamento del trasferimento di fatto dell’azienda consegue  quale effetto naturale il subentro del cessionario ai sensi dell’art. 2558 c.c. in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale. Subentro automatico che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, appare riferibile “…ai  cosiddetti “contratti di azienda” (aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della attività imprenditoriale) e ai cosiddetti “contratti di impresa” (non aventi ad oggetto diretto beni aziendali, ma attinenti alla organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di somministrazione con i fornitori, i contratti di assicurazione, i contratti di appalto e simili)” (Così Cass. Civ. , sez. lav. , sent. n. 7517/2010).